L’anima libera (Emi)

Ci sono persone che entrano nella tua vita così, per caso, senza chiedere il permesso.

Persone comuni, di quelle che vedi al supermercato o al cinema o in fila alle poste.

Di quelle che vedi sedute al tavolino di un qualsiasi bar e, mentre anche tu stai seduta da sola pensi “chissà come si chiama, su cosa sta fantasticando”

Entrano, non bussano, e ti sembra normale così, che per qualche scherzo del destino tu le abbia incontrate, conosciute, vissute e magari perse…non crederesti mai che, dopo tanti anni, ti saresti ritrovata a pensarle…

La prima volta che vidi lui, a dire il vero, neanche me la ricordo!

Credo che sia riconducibile ai miei anni migliori, al periodo spensierato e pieno di gioie e dolori chiamato adolescenza.

Avrò avuto sì e no quindici anni, lui sì e no diciannove e sicuramente frequentavamo entrambi lo stesso campeggio, quello in cui sono cresciuta, da cui volevo scappare e in cui volevo poi tornare, il soggetto sottinteso di tutte le mie estati.

Il mio campeggio, il mio mare, lo porto sempre nel cuore!

Lui comunque non era bello, se è questo che vi state chiedendo…anzi, era piuttosto basso, magro, ma nascondeva dentro quel piccolo corpo una grande energia.

Era riccio, portava i capelli sempre scompigliati, sul volto stampava ogni giorno un sorriso e sorridevano anche i suoi due occhi grandi dietro le lenti di quegli occhiali non alla moda.

Era semplice, vestiva coi classici jeans-e-maglietta e, se a volte lo incontravo alla sala giochi insieme ai suoi amici, che magari si accingeva ad uscire dal campeggio per andarsene chissà dove a fare serata, non mancava mai una volta di salutarmi.

Non si vergognava, era questo che mi piaceva di lui, non gli importava assolutamente niente di cosa pensassero gli altri guardandolo.

Era mal vestito? Non importava, i gusti erano i suoi e di nessun’altro.

Era spettinato? Ovvio, l’umidità gli increspava i capelli rendendoli indomabili.

Lo criticavano perché quella sera invece di uscire rimaneva in roulotte a vedere un film alla TV? Fa niente, lui coltivava le sue passioni.

Puzzava perché era appena tornato da lavoro mentre gli altri erano già a consumare aperitivi al bar sulla spiaggia? Faceva una doccia e quando arrivava arrivava.

Qualcuno l’aveva catapultato nella vita di quella ragazzina scapestrata, scarruffata, scalmanata e più piccola di quattro anni? Benissimo, si vede che c’era un motivo, un senso!

Se mi vedeva mi salutava, se non mi vedeva mi cercava, se arrossivo mentre mi parlava mi strizzava le guance e mi diceva che avevo due gote che sembravano arance.

Emi era questo per me: qualcuno con cui parlare, con cui scherzare, con cui passare il tempo senza mai guardare l’orologio.

Emi non era soltanto la dolcezza incarnata, la simpatia, l’avventura, la sorpresa…era diventato un amico, un amante, e un fratello maggiore con cui confidarmi.

Uno che cercavo l’estate, appena messo piede fuori dall’auto ancora col motore acceso, ma anche uno che chiamavo d’inverno per non smettere di sentirci, uno che ogni tanto mi veniva a trovare nei mesi freddi per non scordarsi chi ero.

«se sei libera passo a trovarti, non voglio dimenticare la tua faccia» mi diceva quando, per qualche motivo, le sue domeniche pomeriggio lo portavano da me, a 70 chilometri di distanza.

«certo che sono libera» rispondevo, col cuore sulle labbra.

Eravamo così io e lui: tra di noi c’era sintonia, feeling, un bene immenso ed un tacito accordo.

Ogni volta che ci rincontravamo, ogni volta che ci dicevamo “ciao”, ogni volta che ci abbracciavamo sapendo che saremmo stati insieme per un po’ era come se le nostre mani dicessero “io proteggo te e tu proteggi me”

E ne avevamo bisogno, credetemi, di farci da angeli custodi in quel momento della nostra vita.

Il nostro incontro era quindi una specie di dono che qualcuno aveva voluto farci, una benedizione.

Sì, lo avremmo dovuto e voluto ringraziare quel qualcuno, se mai fosse esistito.

La sua vita non era stata facile, non fino ad allora per lo meno.

Suo padre aveva lasciato soli lui e sua madre quando era molto piccolo… era sparito, evaporato, e da quel momento Emi non lo aveva più visto e non ne sentiva certo la mancanza, però ogni volta ne parlava con rancore e raccontava di quanto lui, da figlio, avesse dovuto stare vicino a sua madre con un dolore negli occhi che solo chi ha vissuto un abbandono ha.

Sua mamma comunque aveva fatto un ottimo lavoro nel crescere lui e sua sorella, non de v’ esser stato facile gestire una ragazzina bulimica e un bambino, poi cresciuto, che doveva appoggiarsi ai genitori dei suoi compagni di scuola per avere consigli da maschi.

Nonostante tutto era un ragazzo equilibrato…le sue cazzate le aveva fatte, ma non perdeva mai di vista i suoi sacri valori: umiltà, rispetto e molte altre di queste grandi parole che, mi ripeteva spesso, non voleva mai far uscire dalla sua testa.

Ricordo come se fosse ieri le calde giornate di Luglio in cui il sole si alzava presto al mattino e andava a letto tardi la sera, proprio come noi due.

Ci ritrovavamo, ogni tanto, seduti sotto il grande gazebo bianco a parlare del più e del meno, mentre intorno frotte di bambini selvaggi giocavano tra di loro, frotte di genitori guardavano i propri figli ballare al ritmo degli animatori mini-club e frotte di uccellini felici cantavano come dannati sugli alberi, ma noi eravamo come isolati.

Ci mettevamo uno di fronte all’altra con le gambe attorcigliate e i piedi penzoloni e ci ascoltavamo muovere le labbra.

Mi raccontava spesso di sè, ma mai fino in fondo.

Mi parlava dei suoi manga, quelli che amava leggere, della sua passione per il Giappone, delle sue spade…una volta lo vidi arrivare tutto trafelato, in ritardo all’appuntamento che ci eravamo dati per quella sera alle ventuno.

Erano le 21.45 e lui, solitamente puntuale come un orologio svizzero, non si vedeva ancora.

Ma non feci neppure in tempo a pensare di scendere da quell’altalena dondolante e di andarmene dal parco giochi senza tante spiegazioni, che lo vidi arrivare: jeans strappati col cavallo basso, maglietta rossa raffigurante qualcosa di non identificato, sguardo contento, una leggera corsetta e in mano un pacchetto.

«ehi» gli dissi non appena lo ebbi di fronte «credevo ti fossi perso!»

«io? perdermi nella mia città? Scherzi?»

«effettivamente hai ragione, allora dov’eri finito?»

«in giro» rispose poco convinto, e prima che potessi indagare più a fondo sulla sua giornata mi porse ciò che teneva tra le mani.

«è per te»

«per me?»

«sì, per te»

«e per quale motivo?»

«deve esserci un motivo per forza?»

Stranita e un poco emozionata da quel gesto, abbassai lo sguardo sulla carta lucida e iniziai a tastarla per cercare di capire cosa ci fosse dentro.

Rialzai lo sguardo verso il suo in attesa di approvazione, lui annuì ed io aprii il pacchetto.

Dal suo interno uscì un piccolo orsetto di peluche, morbido, beige e con su attaccato un anello che fungeva da portachiavi.

Lo guardai un attimo, poi sorrisi.

«grazie»

«sulla maglietta c’è scritto AMICIZIA» spiegò « è in giapponese. In realtà ne cercavo uno che riportasse il tuo nome, oppure il mio, ma non l’ho trovato…spero ti piaccia!»

«oh, figurati» arrossii «mi piace sì, un sacco!»

Questo era Emi, l’inaspettato.

Quella stessa estate il nostro rapporto si era fatto come non mai sereno: eravamo legati da fili invisibili che ci portavano sempre a cercarci e a trovarci proprio lì dove ci aspettavamo.

Una sera, era il giorno di Ferragosto, ero tornata più tardi del solito dalla spiaggia: era già quasi il tramonto e dovevo ancora farmi la doccia.

Lo sapevo che ci avrei messo molto perchè nel giocare nell’acqua con i miei amici, sparandoci addosso con i classici pistoloni giocattolo e bombardandoci a vicenda coi palloncini pieni d’acqua dolce, i capelli si erano bagnati quindi non potevo fare a meno di lavarli e ad asciugarli.

Lunghi ricci pieni di nodi…

Ero appena uscita dalla veranda quando la mia amica De, che avevo invitato a cena, si presentò puntuale all’orario stabilito.

«aspettami» dissi «vado ai bagni a pettinarmi poi lo lascio asciugare all’aria, questo cesto di cavoli!»

La lasciai che rideva e la ritrovai, dopo quindici minuti, ancora ridente accanto a mia madre che la aiutava ad apparecchiare la tavola.

«stavo giusto dicendo a tua madre della spiaggiata di stasera!» esordì De non appena misi piede al di là del cancelletto «è stata confermata, quindi direi di andare, eh? Che ne pensi?»

«per me va bene, basta non ci sia Nico però»

Nico era il mio ex, una storiella da una stagione vissuta qualche tempo prima e finita ancora prima di nascere: un ragazzotto palestrato che amava andare in giro da un campeggio all’altro a fare il cretino a petto nudo, giocando ogni tanto a scrocco nei campetti di calcio altrui.

Un completo idiota, non avevo voglia di vederlo.

«Nico non c’è»

«meglio così»

«già…»

«quindi?»

«quindi che?»

«andiamo?»

«eh, andiamo!»

Impossibile dimenticare le spiaggiate di quegli anni…tutti i ragazzi si radunavano a tarda sera sulla riva del mare, mettevano in cerchio le sdraio e, come attorno a un piccolo falò, si raccontavano storie o parlavano di cose.

Poi, quando il bagnino veniva a dire che stava per chiudere i cancelli, quelli che non avevano il permesso di rimanere a dormire se ne tornavano al di là del confine, gli altri invece si preparavano per vedere i fuochi d’artificio.

Al culmine degli anni migliori, i fuochi di Ferragosto del campeggio superavano quelli di chiunque altro stabilimento!

Una volta finiti poi ci si affrettava a spogliarsi per buttarsi in mare con una lunga corsa fino a che l’acqua non diventava troppo alta da non permetterti più di muovere i piedi!

Era una serata calda, non tirava un filo d’aria, le tende che avevamo piantato dietro la duna, accanto alle barche da riparare, erano pulite e senza un granello di sabbia sopra i materassini.

Saranno state le tre di notte passate quando io, De e gli altri ci decidemmo a metterci a dormire.

Alfonso, il guardiano notturno, era già passato due volte ad assicurarsi che tutto procedesse bene, quindi eravamo tranquille.

«metto la sveglia?» chiesi  armeggiando col cellulare.

«mettila che se no ci perdiamo l’alba!»

«a che ora?»

«che ne so, alle cinque?»

«ok, alle cinque»

«ma Emi che ha fatto stasera?»

«perché lo dovrei sapere?»

«sei te che ci esci»

«io non ci esco, siamo amici»

«sì vabbè, insomma?»

«‘spe che lo chiamo»

Composi il numero sul mio telefonino, ma dall’altra parte soltanto squilli.

«sarà con una» disse De sghignazzando.

«e che mi frega! Dormi, la sveglia l’ho messa!»

Sembravano passati minuti, forse istanti, quando mi svegliai.

Il mio telefono stava vibrando da sotto il materassino, lo cercai a tentoni nella sola luce del lampione al di fuori della tenda e, dopo vari tentativi, lo trovai.

Convinta che fosse già l’ora di alzarsi stavo per scuotere De, ma con gli occhi annebbiati vidi che in realtà qualcuno mi stava chiamando.

Aprii con cautela la cerniera della tenda, poi liberai l’entrata anche dalla seconda zanzariera e mi allontanai fino a raggiungere la riva per rispondere.

«Emi!»

«ciao bimba»

«dove sei?»

«ero a ballare a Marina, sto tornando»

«ma sono quasi le cinque!»

«lo so, gli altri non volevano andarsene, tu dove sei?»

«in spiaggia, lo sai che c’è la spiaggiata»

«lo sai che non mi piacciono le spiaggiate»

Silenzio, poi lui riprese a parlare.

«stai bene?»

«certo»

«vuoi venire a farmi un saluto? Tra poco sono al cancello»

«dovrei passare da fuori, Alfonso ha chiuso»

«vengo io se vuoi»

«ehm…no. Lascia stare…»

Esatto, la mia risposta fu un no.

Un no secco, forse stanco, detto da chi non voleva essere disturbato.

Perché? Non lo so.

O forse lo so…ero gelosa, ma non l’avrei ammesso mai.

«passi domani da me, allora? Non lavoro, ci vediamo un film»

«domani si guarda Emi…adesso sta per suonare la sveglia, torno da De e gli altri per vedere l’alba»

«ok»

«ok, ciao»

La vidi l’alba quella mattina, ed era bellissima.

Il primo sole che saliva sul mare lasciava una scia d’azzurro e rosa mischiato all’arancio, ma i raggi non si facevano ancora vedere bene, esplodeva solo la luce.

Passeggiare sulla riva, magari proprio all’alba, mentre le piccole onde ti accarezzano i piedi e la sabbia sotto di te sembra quasi tenerti su con mani possenti, è una delle cose che apprezzo di più in assoluto in questa piccola vita…

Tornai a sdraiarmi sulla spiaggia poco dopo, circa quattro ore più tardi, dopo aver smontato l’accampamento, aver messo ad asciugare i materassini umidi e aver mangiato qualcosa che mi tenesse sveglia ancora un po’.

Passai da De a chiamarla, ma lei si era già avviata così la raggiunsi al solito posto.

Gli altri giocavano a beach volley nel campetto adiacente la duna, io e lei invece sonnecchiavamo godendoci il fresco venticello.

Di Emi nessuna traccia, probabilmente ancora dormiva…o forse si era offeso per la conversazione della notte precedente.

Presa da questo dubbio afferrai il telefono e mi diressi verso il bar.

«vuoi niente?»

«una spuma! Fattela segnare, Angelo lo sa!»

Angelo il tuttofare…bagnino, barista, e pure sapiente di cose che solo De sa che lui sa.

Presi un cornetto per me e mi appoggiai ad uno dei tavolini in legno sotto al gazebo, premevo i tasti sul telefonino ma il sole negli occhi e il vento che muoveva le foglie di palma non mi aiutavano a vedere bene.

Avevo appena finito di comporre il numero quando sentii una voce alle mie spalle.

«guarda chi c’è!»

«oddio!…Chris!»

Senza pensarci un attimo lasciai tutto ciò che tenevo fra le mani per buttare le braccia al collo di quel ragazzaccio.

«che cosa ci fai qui? De lo sa?» chiesi.

«sono di passaggio, presto torno a casa. De non sa niente, crede che sia ancora in vacanza ma i miei amici hanno avuto un’intossicazione alimentare quindi siamo tornati prima! Un vero peccato!»

«oh mi spiace! Com’era Riccione?»

«figa direi! Un sacco di locali e divertimento, ti sarebbe piaciuta!»

«sicuro!»

«te invece? Ti stai abbronzando!»

«succede» ridacchiai «due mesi di mare-sole-spiaggia! Sfido chiunque!»

«ops, era tuo il cornetto?»

«sì, cacchio! È tutto sciolto!»

«dai, lo rivuoi? Te lo prendo io»

«beh, visto che alla fine è stata colpa tua direi che accetto. Prendi pure una spuma a tua sorella, ti aspettiamo laggiù vicino al campetto di beach volley!»

Senza aggiungere altro corsi da De ad informarla che suo fratello (il suo maggiore e fico fratello dagli occhi cerulei, lo sguardo da sciogliersi e il sorriso da incanto) era lì.

E mi dimenticai di Emi.

Fortunatamente, poco dopo, fu lui a farsi sentire per primo.

Probabilmente mi sbagliavo a credere che se la fosse presa per quella piccola cosa, infatti sembrava tranquillo.

Avevamo fissato per la sera stessa, aveva preso “Transformers” a noleggio ed entrambi eravamo entusiasti di vederlo, dato che al cinema ce lo eravamo perso.

Una volta sistemati, però, il lettore DVD iniziò a fare uno strano rumore.

«secondo te è normale?»

«mmmm»

«secondo me no»

«infatti, sembra che stia grattando»

«provo a togliere e rimettere il disco?»

«prova, ma non so se funzionerà…sai a volte questi dischetti a noleggio sono sciupati»

«è sciupato guarda, ha troppi graffi dietro!» disse Emi tenendo tra le mani il DVD «non va bene, non mi piace questa situazione…prendo film da loro da anni!»

«loro chi?»

«loro, quelli del noleggio»

«domani glie lo riporti e glie lo dici!» suggerii.

«no, glie lo riporto subito! Non ho intenzione di pagare per qualcosa che non ho usato. Ti torna?»

«direi di si»

«vieni con me?»

«e come mi porti? In braccio?»

«ho la moto, sciocchina. Chiama e senti se puoi venire, ho un casco in più»

Senza stare tanto ad indagare sul perché tenesse un casco in più sempre a portata di mano, mezz’ora dopo eravamo uno dietro l’altro, appiccicati come sardine, sulla strada principale.

Mi fidavo di lui, era un buon guidatore, ma nonostante questo non potevo fare a meno di cingergli la vita con forza per non rischiare di cadere.

Ero una bambinetta, non ero mai salita su una moto con un ragazzo…non ero mai salita su una moto!

Il vento mi arrivava in faccia come una saetta tanto da costringermi a chiudere gli occhi, che provavo a riaprire solo quando sentivo Emi rallentare.

Il tragitto non era lungo, il viaggio era piacevole e ogni tanto provavo a staccare la guancia dalla sua schiena per vedere cosa ci fosse davanti.

Ci fermammo a un semaforo ed Emi, premuroso come sempre, mi chiese se era tutto a posto.

Io risposi di sì, urlando un po’ troppo per farmi sentire oltre il casco, e al verde ripartimmo.

Pochi metri dopo arrivammo al negozio, cercai di scendere senza troppi scombussolamenti ma, imbranata com’ero, misi il piede dalla parte sbagliata prima che Emi potesse correggermi e toccai inavvertitamente la parte incandescente della marmitta.

«ti sei bruciata?»

«non lo so, ho sentito maluccio però»

«allora mi sa che hai solo sfiorato, ma ci va messa subito l’acqua fredda lo stesso»

«ma no dai, lasc…»

Non feci nemmeno in tempo a finire la frase che Emi mi stava già trascinando per una mano dall’altra parte della strada.

«che bello questo parco» dissi mentre tenevo la caviglia sotto l’acqua fresca di una fontanella «siamo in centro?»

«sì certo, non sei mai stata qui in città prima d’ora?»

«un paio di volte coi miei, ma evidentemente non abbiamo mai perlustrato questo lato»

«come va?»

«meglio»

«allora vieni, ti faccio fare un giro»

Tra alberi altissimi, giostre per bambini, zucchero filato, bar e immense distese d’erba verde ci dimenticammo del film.

Alla fine di una lunga passeggiata e di un buon gelato nel suo posto preferito eravamo in piedi, l’uno accanto all’altra, al limitare della grande terrazza.

Guardavamo il mare lasciare dietro le sue onde piccole le scie bianche di schiuma quando Emi si girò e mi disse:

«voglio portarti in un posto»

«un altro?»

«ti fidi?»

«certo»

«allora andiamo…»

La strada stavolta era piena di curve, l’avevamo imboccata poco dopo aver lasciato la principale ed esserci immersi in una strettoia non rassicurante circondata di bosco ai lati.

Era notte ormai e avrei giurato di trovare, in mezzo a quella vegetazione, qualche specie di cervo o cinghiale, invece continuammo a salire e salire e salire fino a non contare più quanto ormai fosse lontano il mare.

Erano passati soltanto quindici minuti, ma a me erano sembrati molti di più, quando finalmente trovammo uno spiazzo in cui fermarci.

Lì, in mezzo a quel che io credevo il nulla, c’era un ristorante con tanto di parcheggio e poco più avanti raggiungemmo un secondo piazzale con al centro una rigogliosa fontana.

«siamo arrivati, ma scendi dalla parte giusta stavolta» mi schernì Emi.

Seguendo il suo consiglio misi i piedi nella giusta posizione e mi lasciai scivolare giù dalla moto.

«questo è il santuario di Montenero» disse indicando il bellissimo edificio protagonista della piazzetta «e lì» continuò tenendomi per le spalle e facendomi girare dal lato opposto come una marionetta «lì c’è tutto il resto»

Senza fiato e con la voce strozzata dall’emozione, i miei occhi si sgranarono e i miei piedi iniziarono a muoversi pian piano in autonomia verso quel muretto di pietra che sembrava essere il confine dell’orizzonte.

Al di là un panorama da togliere il respiro.

Si poteva scorgere il mare laggiù in fondo e poi, oltre quell’immensa distesa d’acqua scura, ogni singola luce della città risplendeva nel buio di quella notte d’estate e illuminava il cielo.

Le strade, i palazzi, tutto era come avvolto da una patina magica che, opaca, provava a sminuire tutta quella bellezza.

«è fantastico» dissi quasi sotto voce.

lo so, è uno dei posti che preferisco…mi ritrovo spesso qui a pensare quando voglio fuggire dal mondo»

«ci credo! È bellissimo…»

Eravamo vicini, tanto vicini…lui mi stringeva da un lato con entrambe le braccia, come suo solito fare, in modo che incastrassi la mia testa esattamente sotto il suo mento.

Adoravo i panorami, li adoro tutt’ora, e lui lo sapeva bene.

Sapeva un sacco di cose di me, più di molti altri, così come io ne sapevo un sacco di lui.

Sembravamo perfetti, fatti per stare insieme, per condividere, per vivere…

poi qualcosa si è rotto.

Avevo 17 anni quando, tornando al campeggio in estate, per la prima volta non andai a cercare Emi.

C’eravamo sentiti poco quell’inverno: lui aveva molti impegni, io avevo la scuola e moltissime cose da fare, era stato come se piano piano le nostre strade stessero prendendo direzioni diverse e le nostre esistenze avessero storie da raccontare che non ci includevano più -o quasi- l’uno nella vita dell’altra.

Gli ultimi giorni di lezione erano andati e, come sempre, mi misi in viaggio carica di valigie per affrontare i successivi tre mesi che avrei trascorso al campeggio: adesso c’erano più trucchi nella pochette e più scarpe col tacco nell’ultimo ripiano.

I miei capelli erano finalmente riusciti ad allungare un po’ grazie ad un trattamento che gli avevo fatto in primavera, le mie unghie erano sempre curate e smaltate e al mio collo pendeva una catenina con un mezzo cuore attaccato, la cui incisione diceva “Chris.

Ricordo la contentezza di De quando seppe che, finalmente, dopo un lungo inverno di corteggiamenti, incertezze e paure (dettate soprattutto dalla differenza di età) io e suo fratello ci eravamo messi insieme….saltava di gioia!

Si volevano molto bene, non avevo mai visto una coppia di fratelli così uniti prima d’ora, un’unione che io potevo capire ben poco visto che sono figlia unica, ma che avevo potuto riscontrare in passato con molti dei miei migliori amici e amiche.

Emi era uno di questi…credevo che fosse qualcosa di più e magari sarebbe anche potuto esserlo, ma la verità è che se fino a quel momento non era scattato niente tra di noi, niente più di una semplice ma profonda amicizia, forse era meglio così.

Lui non si era mai dichiarato e detto sinceramente, oltre a non sapere cosa provassi io realmente per lui, credo che nemmeno lui sapesse con certezza cosa provava per me.

Chris invece era stato chiaro, fin troppo…il modo in cui mi aveva baciata, in cui mi aveva guardata, in cui mi disse che era da molto che aspettava quel momento…

Non era poco per una ragazzina qual’ero essere corteggiata con belle parole e fiori al compleanno da un ragazzo più grande.

Il fatto che fosse il fratello della mia migliore amica, poi, era un’arma a doppio taglio ma, non so come, rendeva tutto più magico.

Non ho ricordi sfocati di Emi, nonostante siano passati ormai molti anni dall’ultima volta che ci siamo incontrati.

La ricordo bene: era una sera come le altre, ma se avessi saputo che non ci saremmo rivisti più, forse lo avrei abbracciato, guardato e stretto più forte.

Io e Chris ci eravamo dati appuntamento, lui era già seduto sulla staccionata che mi aspettava quando sono sbucata dal fondo della strada, cercando di far uscire tutti i sassolini bianchi che mi entravano nei sandali.

Ci siamo salutati e, come previsto, ci eravamo avviati verso la sala giochi.

Procedevamo abbracciati quando, dalla porta bianca dell’infermeria, uscì Emi.

Mi bloccai e mi fermai a guardarlo: era dimagrito, cresciuto, cambiato.

Le guance erano solcate e cosparse di una barbetta incolta che non era solito portare, lo sguardo vuoto, gli occhi quasi stanchi.

«ciao» dissi.

«ciao bimba» rispose lui col suo solito bel sorriso, poi girò gli occhi e fece un cenno di saluto anche a Chris, che nel frattempo lo stava squadrando.

«non ti vedo in forma, cosa hai fatto alla mano?»

«niente di grave, mi sono ferito in palestra» disse lui, poggiando lo sguardo sulla fasciatura appena rifatta.

«vai in palestra adesso?»

«ho iniziato a fare box, un buon modo per sfogarmi e passare il tempo…sei cresciuta insomma!»

«perché lo fai se poi ti ferisci?» insistetti.

«è uno sport come un altro»

«negli altri sport di solito si torna a casa sani»

Ci guardavamo e non eravamo capaci di dire nient’altro se non quelle poche parole distratte.

Ci guardavamo, incapaci di toglierci gli occhi di dosso ma anche di avvicinarci di un passo.

«forse è ora che vada» disse alla fine Emi, abbozzando un sorrisetto «ti saluto, mi ha fatto piacere vederti»

«io…»

«ciao…» continuò «e ciao anche a te!»

Senza aspettare che Chris ricambiasse il saluto se ne andò.

Svanì, così come era apparso liberò la strada dalla sua presenza…così come entrato nella mia vita, ben tre anni prima, in quel momento la stava abbandonando.

Penso spesso a lui, non posso negarlo.

Penso a lui, a quello che è stato e a ciò che abbiamo vissuto insieme e a volte piango.

Non mi vergogno a dirlo: mentre ci penso mi commuovo.

Sono andata su face book non molto tempo fa, ho cercato il suo nome…il suo profilo mi è apparso davanti agli occhi, come immagine di copertina aveva una foto di lui vicino al mare e in un secondo mi è passato davanti tutto, tutto quanto quel che abbiamo avuto e anche quello che non avremo mai.

Nella foto non era solo però, accanto a lui c’era una bella ragazza bionda e con gli occhi azzurri come il cielo che sorrideva all’obiettivo, sembravano felici!

Sono passati otto anni da quell’ultimo incontro e ancora oggi mi chiedo il perché.

Perché succede che due, due così, due come noi, nella vita si allontanano senza nemmeno sapere come o quando…o perché?

Avrei davvero creduto che la nostra amicizia sarebbe stata eterna, così come lui mi aveva promesso quella notte in spiaggia disegnando il simbolo dell’infinito sulla sabbia…

«infinito, come il bene che ti voglio, come la nostra amicizia» aveva detto.

La verità è che di infinito non c’è niente in questa vita, niente di certo, nessuna valida promessa del destino che ti possa dire come andranno a finire davvero le cose.

Penso spesso a lui e altrettanto spesso mi chiedo se per caso anche lui, ogni tanto, possa pensare a me.

2 risposte a "L’anima libera (Emi)"

  1. Piacevole storia di un’amicizia adolescenziale che forse s’e’ spenta perche’ non e’ evoluta in altro o forse perche’ ogni cosa prima o poi finisce.
    Se posso esprimere un parere strettamente personale, scrivi bene ma diventi fin troppo minuziosa nei dettagli a scapito di una snellezza, una scorrevolezza dell’insieme.
    Apprezzato.
    ml

    "Mi piace"

    1. Grazie mille per aver apprezzato, sono felice 🙂
      Questo in particolare è un racconto che ho scritto in un momento di nostalgia verso questa persona, quindi magari è diventato un po’ pesante a causa dei troppi ricordi che mi si sono sovrammessi in testa… Così come in “Alex”, immagino… Se ti va prova a leggere “era sola”, che è una storia completamente inventata, e dimmi che ne pensi 😉

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